
Il ritratto di una vita barocca
Questo raccontare nasce da un incontro fisico con la pittura di Artemisia Gentileschi, in prima persona. Nel 2001, a Palazzo Venezia venne allestita un’esposizione storica, I Gentileschi, che metteva in rapporto e, perchè no, anche a confronto, le opere di padre e figlia. Orazio e Artemisia si costituivano come un itinerario dal tardo manierismo fino al barocco di linguaggio europeo. non solo, ma anche una geografia delle luci e gusti dell’Europa di quel momento, da Pisa a Roma, da Farnese a Napoli, Londra, Parigi, Venezia.
Ogni posto aveva un momento, un quadro, una luce, un linguaggio. una destinazione.
I quadri sembravano destinati ai luoghi, alle committenze. Venni incaricato di scrivere il testo del documentario che veniva proiettato all’interno.
Quindi mi immersi nelle loro vite, nelle loro abitudini, nei colori, composizioni, lettere e leggende. Artemisia era tutt’altro rispetto alla leggenda e alla modernizzazione che ne era stata fatta. Mi riferisco a quello per cui è nota, il processo per stupro intentato contro Agostino Tassi, amico e collega del padre Orazio.
L’inganno a lei perpetrato era reale, la malafede da lei esperita era stata un trauma a tutti gli effetti, vista anche la difficoltà dal suo punto di vista di comprendere fino a che punto il padre fosse coinvolto nella situazione. La sua amicizia con Tassi, infatti,non cessò con la condanna. Uno stupro che era stato sottile e peggiore dell’atto stesso, infame, le venne perpetrato. Le si rubò, con il processo, la spettacolarizzazione e la tortura, una fanciullezza e ingenuità che le dovevano appartenere.
Divenne un simbolo per sé di qualcosa di diverso. Tutta la vita avrebbe brigato per affermare un qualcosa che non aveva in realtà bisogno di sottolineare. Ma da una parte quello di Artemisia era un gioco, ed una vendetta allo stesso tempo.
La sua condizione di pèitrtrice la collocava nel campo dello stravagante e del meraviglioso, una categoria che il barocco viveva e respirava a ogni passo.
Ma non era mai distante in nessun campo da una poetica dell’esistenza reale. Musica, poesia, letteratura, erano la sua realtà, nella corte di Cosimo II fu un’ornamento protagonista di momenti che erano delle idealizzazioni, realizzazioni di quello che era un vero e proprio progetto culturale.
Lì recitava, cantava e viveva la corte.
Lo splendore che sentiva come sua dimensione, sua condizione la ingannò.
Lo studio del suo epistolario rivela un’affarista furba e capace di raggiri, con le mani bucate e sempre in cerca di aiuto e commissioni. Esemplare a questo riguardo il bizzarro rapporto con l’amante impresario Francesco Maria Maringhi, andato avanti per lungo tempo insieme ad una serie di storie parallele, in cui si incrociavano altree figure come quella del musicista e agente di artisti Bellerofonte Castaldi.
Con la complicità del marito che, dobbiamo ricordare era testimone a suo favore e fratello del suo difensore duranre il processo contro Tassi, ingaggiava un duello verbale fatto di romanticismo e raggiri verso questo, che vivrà a lei accanto, distante e vicino, tra amore e denaro,sentimento e necessità.
Una vita fatta di maschere ed inganni, aspettativa ma di grande respiro, divisa con le miserie di un’esistenza sempre precaria. Con la certezza del suo valore in mano, la passione e l’orgoglio Artemisia si impone come qualcosa di unico, stravagante, metaforico, pirotecnico e poetico in un mondo in continua rivoluzione.
Il seicento è il secolo della crisi, che esprime l’ansia della fine delle certezze positive del Rinascimento.
Il dubbio, la ricerca della condizione e posizione dell’uomo nell’universo stimolano una ricerca che si mette continuamente in discussione. Le iconografie, le scritture, I simboli, sono tutti regolati.
Quindi la capacità di raccontare, di sviluppare un linguaggio che si muova intorno a questi steccati è la grandezza di quest’epoca.
In questa cornice Artemisiasi rivela la voce alta e lucida che conosciamo. Si immedesima nelle sue eroine, fa in modo che la identifichino nelle storie che racconta. Artemisia è avvolta dai broccati giallli, Artemisia accorda e suona il liuto, Artemisia “sceglie la parte migliore” come scrive sullo specchio nella Maddalena, Artemisia, subisce le impure attenzioni di due viscide figure come Susanna, ma anche trionfa sul carro trainato da tritoni e ricco di coralli come Galatea.
Martire e vincitrice, Artemisia percorre l’Europa come una stravaganza, una rarità, un prezioso ed unico gioiello.
E’ un’opera in una wunderkammer, cosciente di sè. Che vive di una grandezza ed un’aspirazione che le saranno anche fatali. Il desiderio di innnalzarsi, di splendere, la porteranno al fallimento economico.
Una circostanza che da Firenze la riporterà a Roma, poi in Inghilterra col padre, poi a Genova, Venezia, Napoli.
Quasi un bene, la porterà a conoscere,. A confrontatsi, a suoonare, a vedere luci e figure diverse.
Venezia significa Monteverdi e per legame diretto Barbara Strozzi, la cantatrice e compositrice che è lo specchio di Artemisia in musica. Nei suoi soli vocali racconta le eroine che compiono una storia e una lotta in musica, sono micro opere di dieci minuti, lamenti e abbandoni, martiri, esecuzioni. Saggi di pura recitazione dalle emozioni precise, declamate, concentrate.
Scene sole, come quelle delle figure di Artemisia, sul palco della tela che, a 400 anni di distanza, ci portano su quella scena, in quel momento.
Questo si prova davanti a quei quadri, ci si paralizza davanti al senso della lama che recide la testa, il sangue che schizza, I denti che si stringono, gli occhi vitrei dall’orrore. Giuditta.
O innamorati guardandola negli occhi, scorrendo e sentendo la musica del liuto, guaradandone I lineamenti sottili. Santa Cecilia.
Ho percorso l’Europa sui suoi passi e nei suoi quadri, ho suonato la tiorba nei recessi delle vie e nelle sale dei palazzi, ho sorriso nei canali veneziani e abitato nei quadri dei loro tenebristi.
Sentito il profumo dei limoni napoletani e dell fame nei vicoli. Conosciuto la miseria e l’esaltazione.
Visto il peggio e il meglio del mondo del dubbio e salito sul carrozzone del teatro dell’arte.
Ringrazio Artemisia per avermelo fatto fare.
Tra I capitoli ci sono dellle grida, piccoli brandelli degli atti del suo processo per stupro, dei lanci, dei vocalizzi, che accompagnano il racconto, la storia del suo divenire.
Mentre quello che importa è il suono dell’epoca del momento, che nasce dalle poesie, dai testi delle musiche che infestano la storia, disegnano il paesaggio su cui si muovono le figure.
Un autoritratto che è qui a Roma, come allegoria della pittura, è opera cardine per avvicinarla. Era in Inghilterra, era appena morto suo padre. Voleva ribadire la sua posizione. Si ritrae palesemente più giovane di quello che poteva essere, al collo ha un medaglione, una scimmia, che simboleggia la finzione, la recitazione.
Non c’è bisogno di aggiungere nulla.
La sua strada la percorre tra i nodi della sua epoca, per creare un personaggio.
Del teatro del mondo, sul cui palcoscenico recita una vita.
La sua forza e la sua tragedia. Muore in povertà nonostante il successo.
Artemisia è un’epitome del barocco, ne racchiude il piacere e le contraddizioni, i dubbi ma soprattutto ne esprime i discontinui e fragili trionfi.
Per questo non rinuncerei mai a ripercorrere il suo mondo .
Il volume sarà disponibile dal 5 marzo .